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C’è sempre un MA – Sotto la lente

2 min di lettura
Sotto la lente - Mara Larussa

Da quando ero bambina, sul comodino avevo sempre una abat-jour, per sconfiggere il mostro del buio, un taccuino e una matita per le ispirazioni notturne, una chiocciolina per farmi compagnia e un vocabolario per soddisfare le mie curiosità.

Da allora non è cambiato molto, se non fosse che i gatti hanno preso il posto del mollusco gasteropode polmonato.
E tra una pagina consumata, un dubbio e una banalità, mi scontravo con un “ma”.

E da allora scoprivo che, c’è sempre un ma!

Congiunzione coordinativa avversativa, esprimente spesso esplicita contrapposizione al termine che precede, il quale è per lo più espresso negativamente, spiegava il vocabolario Treccani, il MA di fatto è una sospensione che segue, quasi sempre, le affermazioni della vita.

Eppure, alla ricerca di un senso positivo anche nei termini, scoprivo il fascino tutto nipponico del MA: quale “intervallo”, “spazio”, “pausa”, “spazio vuoto tra due elementi strutturali”, usato nella quotidianità come nella filosofia buddhista in cui la dottrina del vuoto è centrale.

Un concetto tanto volatile e impalpabile, a tratti malinconico e destabilizzante, come mettere il piede su un gradino che sale verso l’alto, ma che è fatto della stessa materia delle nuvole, e che soltanto Sachiyo Goda riesce a definire nel suo An investigation into the Japanese Notion of ‘Ma’: Practising Sculpture within Space-Time Dialogue: “Una stanza immaginaria che si trova in una posizione indefinita tra il cielo e la terra, si dice sia il modo originario per rappresentare il concetto di ma. Immaginiamo simultaneamente sia l’incertezza spaziale che quella temporale: la stanza non è né in un luogo né nell’altro, è in uno spazio indescrivibile”.

A volte un MA, indica una negazione, a volte è soltanto una richiesta velata, Perdersi in un MA, per entrare in un vuoto pieno di senso.

Mara Larussa

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