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La Principessa dalle mani di cera: è un thriller o una fiaba!? Parte Prima

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mani cera

Due bimbetti, al di sotto del terzo anno d’età, rimasero orfani d’entrambi i genitori, Principe, l’uno e Principessa, l’altra, di un vastissimo Reame, senza confini: a farne tutore, negli anni a venire, fu lo zio paterno, arrivista ed accentratore, decisissimamente!

Paolo e Francesca non immaginavano che ad occuparsi del loro stato di indigenza fosse un parente così stretto, credendo che li tenesse negli scantinati della Reggia soltanto per carità.

Una vecchina, dispiaciuta dallo stato pietoso, in cui essi versavano, nell’impossibilità di rivelar loro la verità, pena capitale se avesse solamente osato, si mise a dire tra sé e sé: «Se il padre fosse ancora qua, quella buon’anima, chissà quante tavole imbandite e quanti divertimenti avrebbe avuto, miserelli!».

Tuttavia, dopo aver stiracchiato le gambe ed irrobustito le gracili spalle, decise di avvicinarvisi: «Signorina, signorina! Oggi è la vigilia di Natale e vi voglio regalare questa tacchinella. Mangiatela con vostro fratello, per amore mio, vi prego!».

«Grazie, grazie, brava signora – rispose la ragazza – ma io che vi posso dare in cambio!? Non ho proprio nulla se non le mani vuote per stringere le vostre»: eppure, se la prese, data l’insistenza di quella nonnina assai rassicurante e se la sistemò nella sua stanzetta, fatta di lettucci di paglia e cianfrusaglie sparse di qua e di là. Verso sera, appena si ritirò il fratelluccio, corse verso di lui ad anticipargli la sorpresa, che si moltiplicò per tutti e due quando, varcata la soglia di quel brutto tugurio, si ritrovarono una buca nel pavimento, a mo’ di tracciato da seguire. In fondo a quel cunicolo ripescarono l’animaletto, mentre era intento a beccare elmo, spada e corazza che un giovane reuccio avrebbe potuto indossare.

«Oh che bello, ti sta a pennello!»: fu quanto riuscì a dire, vestendolo istintivamente. Caso fu che, a porta spalancata, certuni lo salutarono con un protocollo così cerimonioso da generare un effetto ola tra tutti i passanti del posto: non solo…Una rivoluzione a colpi di pietre mandò a morte l’usurpatore di quel Reame, legittimando, su nuova elezione, chi sarebbe dovuto esserlo da tempo. Lui, cioè, il nostro piccolo grande uomo, per intenderci! D’ora in avanti guarderemo con affetto i bargigli dei galliformi: portano bene, a ben vedere da questa storia.

Diventato sovrano, il Piccolo Principe, stile Antoine de Saint-Exupéry, cominciò a governare il suo popolo con giustizia, guadagnandosi la benevolenza di tutti: ogni venerdì, poi, era consuetudine che andassero al Palazzo tutti i poveri spersi per il territorio, cui lui stesso si avvicinava a fare l’elemosina. Tra i beneficiari, una giovincella, accompagnata dalla nonnina, coperta da stracci e pezze, da capo ai piedi: le comprò un bel vestito di cotonina, un paio di scarpe nuove, facendo un restyling come la bellezza, offesa da immeritate circostanze, avrebbe meritato.

Un filo di passione accompagnò quel gesto caritatevole: Cupido, figlio della buona Venere, lo aveva già incendiato da ridurlo in cenere, mi sa! Non riuscendo più a resistere a quel turbinio di emozioni, pensò di vuotare il sacco, raccontandosi alla sorella: «C’è una tipa di cui mi sono innamorato, sai!? Me la vorrei sposare – le disse – ma, siccome è una stracciona, mi sa che non acconsentiresti volentieri e della cosa sono molto dispiaciuto».

«Che dici!? Non attenterei mai alla tua felicità, non ci penserei nemmeno!», gli replicò l’altra parte. Allora Paolo sfiorò le guanciotte di Francesca con la stessa delicatezza con cui erano soliti trastullarsi sin da bimbetti: «è vero che io la sposerò, ma ricordati che noi due resteremo come siamo, e tu continuerai, per sempre, ad essere la padrona di casa». Parole sbattute sui denti, quelle! Poco dopo il matrimonio, la consorte, da povera che era stata, si vide ricca ed iniziò a darsi delle arie. Per la serie, la vita di prima puzza di vecchio! Era invidiosa che la cognata avesse il polso della situazione e che avesse le chiavi di ogni ambiente di corte; così, giorno dopo giorno, cominciò ad aizzare il marito contro la propria consanguinea. Che str…., diremmo, cioè, che screanzata, senza neppure un tantino di buona creanza: che avevate capito!?

Gliene disse così tante che alla fine lui si convinse: «Mogliettina mia, che vuoi che io faccia!?» le domandò. Rispose lei: «Voglio che nottetempo la accompagnino in un bosco per sbarazzarsene e, per esserne sicura, mi devono portare indietro le mani mozzate e la camicia imbrattata di sangue». E quello, sapete che fece!? Non seppe dire di no ed acconsentì: in piena notte, la povera donna si vide afferrare da due uomini, con l’ordine di seguirli.

Ne furono impietositi, a dire il vero: mentre tiravano a sorte su chi l’avrebbe dovuta assassinare, sentirono abbaiare da quelle parti un cagnolino, sopraggiunto per sua disgrazia. Subito lo afferrarono e dissero alla reginotta: «levatevi la camicia, ché dobbiamo imbrattarla col sangue di questo cane. Le mani, però, con grande dispiacere, ve le dobbiamo tagliare: queste sono le prescrizioni, non ci possiamo fare niente!».

Fatto e misfatto si succedettero nel più breve tempo possibile. Quando i due sgherri arrivarono ai piedi del loro Regnante: «Sire, da sicari di una dei vostri più cari, abbiamo esaudito i vostri desideri. Che i vostri occhi sappiano riconoscere quanto di familiare è raccolto in questa bisaccia»: fu il sardonico saluto dei boia in quella sala di ricevimento, la cui atmosfera mortuaria andò ad esasperare talmente tanto i sensi di colpa che spontaneamente gridarono a lutto senza pace alcuna. Quello, infine, non riuscendo a trattenersi, esplose piangendo: «Sorellina mia, eri tanto felice del mio matrimonio che, a causa mia e di mia moglie, ora ti ritrovi agli alberi pizzuti».

To be continued….

Prof. Francesco Polopoli

A Maria Franzì, i cui commenti, in barba ai miei post, sono riusciti a dare luce nuova a queste nostre fiabette. Dalla Chanson de geste ai poemi epici cavallereschi si pongono le storie bruzie con gli stessi accorgimenti cui Tasso faceva riferimento, per fugare il pericolo inquisitorio.  Lux fiat: grazie, collega!

PS: Preferisco consegnare e conservare la fiaba nella stesura originaria, per rammemorare lo stile di una penna giovinetta che, seppur non limata, racchiude lo stesso fanciullino di fronte a quanto mi appassiona da sempre.

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