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Ritratti di donna: «la cattiva e l’infedele», ma chi sono costoro!?

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Ritratti di donna:«la cattiva e l’infedele», ma chi sono costoro!?

Il nostro vernacolo, all’interno del panorama linguistico nazionale, ci lascia una linea d’indirizzo che è comune ai quattro angoli della nostra Penisola

Ogni lessico, purtroppo, fa differenza di genere: non è difficile, infatti, cogliere spazi d’ombra e di opacità, basta dare una scorsa, semplice!

Ci sono pregiudizi cementati sul piano dei significanti, contro cui porre significati nuovi per una sana e più consapevole educazione alle pari opportunità. Questa è la sfida di ogni rivendicazione.

Detto ciò, diamo uno sguardo al nostro dialetto lametino, focalizzando l’attenzione su due lemmi caduti d’uso:

1) la «cattiva» (dal lat. captivus) era, alla lettera, la donna prigioniera del lutto. Se non più giovane, in passato, doveva astenersi, salvo attirarsi le malelingue della gente, in primis quelle dei parenti dei viciniori, dal passare a nuove nozze.

2) «‘A‘mpidili» (“sterile, infertile, infecondo”) è detto del coniuge che non può avere figli, quasi lo si voglia demonizzare per essere venuto meno alla fede giurata, all’impegno assunto – contraendo il matrimonio – di generar figli.

Una precisazione: il pregiudizio investiva sempre il mondo delle donne, considerazione che mi spinge a dire che la lingua rosa, quella materna, cioè, debba necessariamente essere erosa da tante scorie. La strada è ancora aperta…

Prof. Francesco Polopoli

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